È ferragosto e fa un caldo maledetto. Ho un pezzo pronto per oggi, ma è un giorno di festa e voglio farmi un regalo: improvviserò, proprio come si faceva all’inizio. Non ho una direzione, non ho nulla da dire. Voglio solo fluire, digitare parole libere senza un’intenzione. Digito e cancello, a volte la frase compare e scompare così velocemente che non faccio in tempo a realizzare cosa dicesse. Non rileggo, mi basta mettere un punto per certificare quanto scritto. Non è poi così diverso dal solito in fin dei conti: la differenza sta nel fatto che, se scrivo di un argomento, è perché voglio esprimere un’opinione a riguardo. Ma comunque le opinioni sono confuse e sfumate fintanto che non vengono messe nero su bianco, improvvisando anche in quel caso. L’espressione crea il senso, non viceversa. Cosa esiste prima di scrivere, prima di parlare? Credo che i pensieri non esistano finché non vengono legittimati in una qualche maniera. Sì perché, a dirla tutta, io non credo di pensare affatto. Parlo con le persone, scrivo alle persone. Se sono in silenzio ascolto, leggo, guardo. Ma non sono sicuro di poter affermare che penso.
Nella mia vita il buio silenzio del pensiero ha lo stesso effetto di quando si approccia con la macchina un dosso in velocità: un respiro trattenuto per una frazione di secondo, l’illusione di prendere il volo. Sono sospeso, ed è commovente. Non ho mai capito cosa succederebbe se decidessi di rimanere in quel vuoto, non penso nemmeno mi sia concesso per ora. Devo esistere. E dialogare è l’unico modo che conosco di compiere questa missione.
Vi ringrazio tanto, cari lettori, perché mi date la possibilità di esistere ogni giorno di più.
Ma grazie a Lei