Spesso dico che l’antifascismo è un problema. L’antifascismo è un problema perché polarizza ed è tra due poli che si genera conflitto: la retorica antifascista ti permette di immaginare un qualcosa a cui opporsi quandanche quel mostro da combattere di per sé sarebbe debole e informe. È rischioso perché ti fa pensare di essere costretto a scegliere il bianco quando l’alternativa non è il nero: a noi occidentali non piace che qualcuno si assuma l’onere di pensare al posto nostro. Preferiamo sbagliare in autonomia piuttosto che fidarci di chi non ci convince, perché purtroppo anche gli antifascisti non sono perfetti e non tutti hanno idee condivisibili in assoluto, così come non è sempre consueto condividere i loro mezzi: dare un motivo per odiare un’ideologia sacrosanta come quella antifascista è pericoloso.
È un po’ come portare incendi (dolosi) e temporali a dimostrazione del cambiamento climatico: argomentare debolmente è più pericoloso di non argomentare affatto. Sulla debolezza la forza bruta raggiunge il suo zenit. È il principio secondo cui i predatori attaccano chi puzza di paura e i maranza cercano di rapinare chi suppongono non avrà la stoffa per ribellarsi. È solo davanti ad argomenti deboli che uno sciacallaggio come quello del negazionismo del cambiamento climatico può sorgere. L’idea del pezzo di oggi nasce dalla pubblicità di Chiara Ferragni per la macchina elettrica della BMW, da molti criticata perché ipocrita rispetto allo stile di vita di una testimonial che va a fare l’aperitivo sui ghiacciai in elicottero e passa tutta l’estate su uno yacht da centomila cavalli. Giusto per precisare, a me, che la Ferragni spenda i suoi milioni in attività poco sostenibili, non importa nulla: non c’è una legge che ti vieti di essere un cretino. Il problema è che essere un cretino è pericoloso se vieni strumentalizzato, estremamente pericoloso se vieni strumentalizzato per una buona causa. Qui si inserisce il secondo problema: la strumentalizzazione delle politiche green a fini di marketing e il celebre “greenwashing”. Se quello ambientale non fosse un problema troppo serio per essere strumentalizzato me ne farei una ragione, così come mi rassegno all’idea che le “Wanna Marchi” continueranno per sempre a fare marketing ingannevole. L’altro giorno ho sentito che la Uefa si vanta di ridurre del 90% le emissioni di Co2 rispetto al Mondiale in Qatar e mi sono messo a ridere: gli stadi climatizzati erano solo la punta dell’iceberg.
Questo articolo è stato scritto la notte tra il 26 e il 27 luglio e, in origine, includeva una sezione adesso rimossa. La sezione sostitutiva che aggiungo qui viene scritta qualche ora dopo perché appunto soltanto la mattina del 27 ho letto su Reddit del Rapporto Ital Communications – Censis sulla Disinformazione e Fake News in Italia. Solitamente non mi piace riportare dati in questo spazio d’opinione perché trovo siano noiosi e penso che, se mi leggete, forse sperate che io aggiunga qualcosa a delle semplici percentuali che potreste leggere da soli: una specifica sezione di questo rapporto riguarda però il caso della comunicazione rispetto al cambiamento climatico e risulta così pertinente al discorso che sono costretto ad affrontarlo. Tale sezione esordisce così: “il riscaldamento globale è un caso esemplare di comunicazione eccessiva e poco chiara, che alimenta cattiva informazione, catastrofismo e persino negazionismo, rischiando di provocare effetti non desiderati sui modi di pensare e sui comportamenti della popolazione”. Arrivano dei numeri a supporto: il 16,2% della popolazione è convinta che il cambiamento climatico non esista. Il rapporto continua: “gli individui più fragili, vale a dire i più anziani e i meno scolarizzati, sono quelli che appaiono più confusi e meno in grado di comprendere il problema nella sua complessità”. Il 25,5% (1 persona su 4, amici) crede che le alluvioni di questi anni siano “la risposta più efficace a chi sostiene che si sta progressivamente andando verso la desertificazione”. Un altro 33,4% (1 su 3, carissimi) pensa che la transizione ecologica “richiederebbe sforzi e investimenti economici che non ci possiamo permettere e che ci costringerebbero a fare un passo indietro negli standard di benessere e qualità della vita ormai acquisiti”. Il rapporto termina, come nelle migliori fiabe, con un lieto messaggio di speranza: “le più accreditate analisi previsionali […] rivelano che la transizione ecologica creerà moltissimi posti di lavoro, e […] nel medio periodo ci condurrà verso uno scenario di maggiore sviluppo economico”. Seppur non sia l’unica fonte da cui leggo queste previsioni, non darò un’opinione a riguardo: il discorso meriterebbe una riflessione più ampia che ad oggi non ho gli strumenti per portare avanti.
Letto il rapporto mi alzo dal letto, mi lavo la faccia ed esco di casa per andare in edicola ad acquistare una copia di Libero dove trovo ben cinque pagine, con editoriale di Feltri in prima pagina, sullo stesso tema da me qui trattato. Feltri intitola “Chi cerca alibi per il malgoverno” spiegando come, secondo lui, il cambiamento climatico sia il dito dietro cui le amministrazioni locali si nascondono dopo che eventi atmosferici evidenziano la negligenza nella messa in sicurezza del verde e nella manutenzione di canali e tubature. Posizioni come questa, dopotutto non screditabili in toto, mi fanno pensare ancora una volta che sia più pericoloso il qualunquismo di chi dice “non ho mai visto un temporale così in vita mia” che l’incoscienza di chi nega l’evidenza. Il punto non è più allarmare o convincere ad ogni costo chi ancora rigetta questa attualità, invadendo fastidiosamente la sua libertà di essere stupido: siamo ad un punto in cui la classe politica è ben consapevole del problema e questa è l’unica cosa che conta. Per quanto riguarda noi cittadini possiamo limitarci a non sprecare l’acqua, fare acquisti consapevoli (in base alle nostre possibilità), differenziare i rifiuti e usare la macchina quando non abbiamo alternativa. Non ci dobbiamo nemmeno più preoccupare del cambiamento climatico, ci dobbiamo solo impegnare a non fare i bambini viziati. Come avrete capito, sono contrario alla retorica ambientalista per tanti motivi, ma nessuno di questi riguarda la causa: il dibattito pubblico non fa altro che dar modo a qualcuno di fare l’avvocato del diavolo e ai diavoli di avere qualcosa per cui battersi.