I fiori di Milano
Il villaggio in Lorenteggio, così distante da una città che non si ricorda nemmeno della sua esistenza
Ecco a voi un piccolo reportage sul Villaggio dei fiori in Milano ovest uscito per Libero. Sul quotidiano si è vincolati da molte cose, in primis il numero di battute che devono rispettare lo spazio disponibile sulla pagina, ma se ripubblico anche qui è perché mi sono affezionato a questo luogo, anche passandoci solamente poco più di un’ora.
Usciti dalla stazione metropolitana di Primaticcio, procedendo lungo l’omonima via già nell’avanzato far west – geografico – di Milano, la prima traversa che si incontra è via delle Azalee. Poi le Orchidee e gli Anemoni, fino a via delle Camelie, dove succede qualcosa di insolito. Qui, l’ombra degli immensi palazzoni svanisce e rimangono gli alberi a nascondere una linea di casette bianche, non più alte di un piano, tutte segmentate dalla stessa struttura ricorsiva che si ripete tanto a lungo che nemmeno se ne vede la fine: tre gradini, una porta e un comignolo in acciaio zincato. Poi si arriva a via dei Gigli e la storia si ripete. Gradini, porta, comignolo. Gradini, porta, comignolo.
Si chiama Villaggio dei fiori, anche se oggi i fiori non ci sono se non sulle lapidi con incisi i nomi delle vie, i quali di certo non profumano. Oltre ai colori dei murales che grazie a un progetto collaterale delle olimpiadi del 2026 hanno decorato i muri ciechi delle palazzine, in giro c’è verde in abbondanza: a Milano questa è già una notizia. A ogni casetta corrisponde un piccolo giardino privato sul retro anche se la maggior parte di questi è abbandonata.
Fuori da uno dei pochi giardini ancora abitati ci sono due ragazze che scambiano qualche chiacchiera. «Ha bisogno di indicazioni?». Chiede la prima delle due, stranita dalla presenza di avventori tra le casette. Ha uno zaino in spalla e deve andare, era solo passata a salutare l’amica. L’altra ragazza, invece, si chiama Ginevra e vive qui da poco più di 25 anni, tanti quanti la sua età. Ha una tuta da casa e una piccola gatta rossa in braccio. «Ci conosciamo fin da quando eravamo bambine. Il quartiere ti permette di passare molto tempo con il vicinato fin da quando sei piccolo, ma ora purtroppo non c’è più la vita sociale di una volta perché molti giovani se ne sono andati e altre famiglie hanno abbandonato la casa del tutto».
Il terreno è di proprietà del comune, così come le casette dove Ginevra e l’amica abitano. Fino a qualche anno fa gestite dalla Aler, nel 2014 è stato lasciato in gestione alla divisione case della MM, società che ha costruito e gestisce, tra le altre cose, le linee della metropolitana di Milano. In origine composte da sole casette di legno unifamiliari, questo quartiere che ancora oggi risulta alieno rispetto ai tipici connotati di Milano, fu donato dalla Finlandia ai milanesi che avevano perso tutto sotto ai bombardamenti degli Alleati. Negli anni ’50 l’amministrazione comunale aggiunse queste casette minime per completare l’opera di ricollocamento degli sfollati. «Fin da quando sono piccola gira voce che le butteranno giù, probabilmente per costruire palazzi più alti come quelli che ci circondano. Hanno già fatto così con i palazzi popolari di via Segneri poco più in là».
Ma il Villaggio dei fiori negli anni è resistito alle pressioni anche grazie alle battaglie del comitato di quartiere che è riuscito a far comprendere alle istituzioni la rilevanza storica e sociale di questo luogo. «Ad un certo punto si è iniziato a parlare persino di fare un cappotto per questi muri, perché d’estate fa caldissimo e d’inverno molto freddo, specialmente per chi come noi ha infissi ormai datati. Stiamo aspettando di sapere cosa ne vuole fare la MM, ma non penso proprio faranno mai un cappotto, anzi non credo proprio che resisteremo qui ancora a lungo». Ma nonostante molti di questi lotti versino in condizione di abbandono e si prestino quindi all’occupazione abusiva, la demolizione sarebbe un gran peccato. «A me dispiacerebbe molto perché avere una casetta con giardino a Milano è un privilegio a dispetto di tutti i lati negativi».
Inoltrandosi nel quartiere non passa certo inosservato un lotto particolare che a fine gennaio è ancora addobbato per le feste natalizie. Un uomo barbuto è indaffarato a smontare ghirlande e luminarie. «E fino a qualche giorno fa c’erano anche i gonfiabili qua sopra!» Segnalata anche sulle mappe online, affacciata sul parchetto delle ortensie e degli oleandri, ironicamente proprio nel cuore di quello che veniva chiamato Villaggio dei finlandesi, si trova la casa di Babbo Natale. «Sono ormai 15 anni che mi travesto da Babbo Natale e porto un po’ di gioia negli ospedali di zona. Prima, per qualche tempo, mi pagavano addirittura per farlo a New York. Qui invece ogni autunno, a settembre, inizio i lavori per addobbare gli interni e il garage sul retro. Per fine novembre di solito è tutto pronto e inizio a ospitare le famiglie che con i loro bambini mi vengono a trovare da tutta la Lombardia».
È un uomo di 70 anni, con la tipica barba bianca e voluminosa, e vive nel quartiere da quando aveva un anno. «In quella casa laggiù, alla quarta porta, viveva Diego (Abatantuono, ndr) e da piccoli andavamo a scuola assieme. Ha sempre sognato di mantenere la sua casa qui ma, quando i suoi genitori sono mancati, non gli hanno permesso di comprarla perché era ricco e queste sono case comunali. Perciò, ogni volta che torna, ci tiene a entrare per prendere un caffè con me in questa casa che gli ricorda quella in cui è cresciuto». Risalirà poi sulla scala, per continuare con lo smonto degli addobbi.
Rimettendo piede tra i palazzoni di via Primaticcio, si rompe l’incanto di questo luogo così estraneo alla città che lo circonda, e solo quando lo si lascia definitivamente si inizia a sentire lo smog invece del profumo dei fiori che pensavo fossero presenti unicamente sulle lapidi delle vie.
Pasoliniano