Il salario minimo legale aumenta davvero il benessere dei lavoratori?
L'eterno trade-off tra salario e occupazione: perché lo strumento proposto non tutela i lavoratori fino in fondo
Che sia stato argomento di dibattito in qualche talk show della fascia pomeridiana, in qualche trafiletto di una pagina di giornale, al bar o nelle corsie di uno stabilimento produttivo della bassa bergamasca, quello del salario minimo è uno dei temi al centro dell’attenzione di questa estate politica.
Una cosa certa è che il tema riguarda da vicino tutti noi. Anzi, tutti voi, visto che per me la possibilità di trovare un lavoro definibile come tale resta nient’altro che un miraggio fino al conseguimento di un titolo universitario. Ma questa è un’altra storia.
Da ultimo una proposta di legge avanzata dalle opposizioni unite (con l'eccezione di Italia Viva) e depositata qualche settimana addietro richiede di fissare a 9 euro lordi il salario minimo nel Bel Paese.
In queste poche righe proveremo a capire in che modo questa misura possa incidere sui lavoratori e sulle imprese, cercando nell'analisi di essere per quanto possibile asettici senza farsi trascinare da idealismi e sentimentalismi vari.
Innanzitutto, mi preme anticipare quanto la questione mi stia a cuore e, non a caso, sia uno dei main themes del corso di Laurea Magistrale che sto frequentando in Economia del Lavoro e del Welfare.
Quando sentiamo disquisire (spesso appassionatamente) i nostri rappresentanti di salario minimo, che siano di questa o quella fazione, incappiamo in pericolose approssimazioni e tesi grossolanamente sostenute.
Nell’introdurre il proprio corso, l’ottimo docente di Economia del Lavoro di cui per privacy nasconderemo il nome - e anche un po’ per non fargli fare un’immeritata magra figura qualora dicessi qualche sciocchezza – teneva a sottolineare quanto possa essere dannosa l’introduzione di un salario minimo in un mercato concorrenziale, ossia quella forma di mercato in cui il salario e l’occupazione sono fissati dall’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Lungi da me entrare in tecnicismi, in breve, il risultato è semplice: l’impresa, nel momento in cui le Istituzioni fissano un salario minimo (wm) superiore al salario di mercato (w*), non farà altro che tagliare l’occupazione spostandosi, detto in modo crudo e rude, verso sinistra lungo la curva di domanda di lavoro.
Quindi, a parità di profitto per le imprese, a salari più alti corrispondono meno posti di lavoro messi a disposizione.
Superato questo brevissimo, ma doveroso, excursus microeconomico, impone farsi una domanda: cosa resterebbe dei sindacati se essi venissero privati del fondamentale ruolo nel contrattare i salari minimi da applicare alla categoria? Rispondo io: poco o niente.
L’Italia, nell’UE dei 27, insieme ad altri 5 Paesi tutt’altro che irrilevanti, tra cui Svezia, Danimarca e Finlandia, con i quali condividiamo una lunga tradizione sindacale e un alto tasso di adesione alle associazioni di rappresentanza dei lavoratori, demanda alla contrattazione collettiva la fissazione di un salario minimo da applicare alla categoria di riferimento. Un meccanismo ben oliato, nel suo complesso ben funzionante e che poggia su due entità, quella sindacale e quella datoriale, che si rispettano a vicenda e, senza dubbio, riescono a regolare meglio gli aspetti retributivi e normativi di un contratto di lavoro per un semplice motivo: conoscono meglio i propri rappresentati/lavoratori di quanto li possa conoscere una legge asettica da applicare indistintamente a tutti i lavoratori e che, in molti casi, legittimerebbe quei datori di lavoro a cui attualmente si applica un CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) che fissa una retribuzione minima superiore a quella prevista da una legge, ad adeguarsi al ribasso rispetto a quello che la normativa già prevede.
È vero, alcuni settori restano attualmente scoperti dalla contrattazione collettiva e in altri ancora, seppur coperti, il salario minimo non raggiunge i 9 euro lordi richiesti, spesso perché i datori di lavoro ricorrono alla deplorevole pratica dei contratti pirata, di cui magari approfondiremo nelle prossime puntate.
Ma, se da un punto di vista economico è dimostrato che fissare tramite legge un salario minimo al di sopra di quello di mercato si rivelerebbe un pericoloso boomerang, non è forse meglio ricorrere ad altre vie per aumentare la paga oraria e, contestualmente, il benessere dei lavoratori? Magari non esautorando il ruolo dei sindacati, ma addirittura rinvigorendolo.
La butto lì, quasi come se fosse una provocazione: e se fosse questa l’occasione per ripercorrere la strada della concertazione sociale di stampo Ciampiano? Riportare in auge quel “metodo per governare” che tanto bene ha fatto all’economia nazionale, al mercato del lavoro e ha riportato l’Italia sul binario delle economie occidentali, proprio quando si trovava a un passo da un disperato deragliamento?