Mai mi sono reputato un animalista in senso stretto, né tantomeno ho considerato nel corso della mia vita di escludere la carne dalla mia dieta. Pur avendo un’ottima predisposizione verso gli animali tutti, faccio fatica a trovarmi d’accordo con le campagne degli attivisti. Oggi però, forse ancora scaldato delle immagini forti, mi sono chiesto se fosse effettivamente troppo esporre i nomi dei dodici ragazzi (alcuni minori) complici ed esecutori dell’assassinio della capretta ad Anangni, avvenuto a calci e sevizie di svariato genere. Me lo sono chiesto e ho pensato che no, non penso sia troppo.
Purtroppo non penso che eventi come questo siano rari in Italia e nel mondo, ma anzi sono tristemente convinto che molta gente senta il bisogno di affermarsi con la violenza sugli indifesi perché incapace di affermarsi in altri modi. Quando le vittime sono altri esseri umani la giustizia interviene fermamente, ma a volte, anche comprensibilmente considerata la limitatezza delle risorse, se i deboli sono altri esseri viventi meno tutelati giuridicamente, può capitare che si soprassieda: alla luce di questa contingenza penso sia ammissibile che un tribunale popolare si faccia giustizia da solo, con il massimo della violenza verbale e nessuna violenza fisica, perché non c’è bisogno della legge umana per capire che togliere una vita, barbaramente e senza alcuno scopo, non è concesso a chi si consideri degno di vivere in civiltà.