Infornazione
Tra brioches e supercazzole: se oggi c’è un modo giusto di comunicare, la sinistra non lo conosce
Ho studiato filosofia per molti anni, abbastanza da ottenere quella pergamena che certifica la mia presunta erudizione in materia. Nonostante gli sforzi, miei e di chi ha pagato le tasse per i miei studi, io di filosofia non so pressoché nulla.
Decifrare i complessi scritti con cui i professori testavano la mia preparazione era un gioco stimolante, ma per uno che come me ama la vivezza del presente, quelle informazioni non meritavano di occupare spazio nella memoria oltre il tempo necessario.
Ho quindi preso gli studi, da Parmenide a Derrida, e ne ho fatto uno scatolone con un’etichetta che ne riassumesse il succo. L’etichetta recita così: “i fenomeni sono complessi”. Non complicati, complessi.
Tra complicato e complesso ci passa il velo dell’incognita. Disegnare un ponte che regga contro le intemperie e che soddisfi i bisogni richiesti è complicato. Scegliere se fare o meno un ponte è complesso, perché, per quanto si possa provare a capire se questo benedetto ponte varrà o meno la pena, con tutte le analisi possibili, ci sarà sempre qualcosa di impossibile da cogliere, qualcosa che renderà la decisione imprecisa almeno in qualche suo aspetto.
E il mondo è proprio questo, un fenomeno complesso somma di un’infinità di fenomeni complessi. Ma l’indeterminazione non deve per forza scoraggiare chi questo mondo lo voglia conoscere, almeno in parte. Io personalmente non ho ancora trovato al mio tempo un’occupazione migliore della scoperta e della presuntuosa e illusoria conoscenza.
È alla luce di questa passione che passo metà del mio tempo a guardare, ascoltare, leggere e l’altra metà a sputar fuori interpretazioni di ciò che ho visto, ascoltato e letto.
A mio avviso, interpretare - e quindi esprimere opinioni - è un’umana espressione di narcisismo: credere che le proprie interpretazioni abbiano un qualsivoglia valore, siano di qualsivoglia interesse per qualcuno e possano, in una qualche perversa maniera, migliorare l’umanità è il peccato di chi fa opinione. Ovvero quello che oggi, con profonda consapevolezza critica, si è scoperto essere l’unico tipo di informazione possibile.
Impossibile informare (nella parola stessa sta il “dare forma”) senza interpretare, senza dare una qualche opinione a riguardo. La sola scelta di cosa comunicare esprime un’opinione.
Questo vizio di forma non toglie però autorità a chi fa informazione: il famoso quarto potere che negli ultimi anni ha perso la riconoscibilità dei suoi connotati, frammentato negli intrecci algoritmici ultrapersonalizzati dei social network, non smette di essere l’ago della bilancia per la politica.
Non stupisce infatti che in Italia la destra stia vincendo la battaglia su questo campo. La notoria crisi del giornalismo di sinistra, dalle battaglie frivole e sconclusionate passando per le patetiche supercazzole non sono un luogo comune, ma anzi le si possono toccare con mano scorrendo fino all’ultimo TikTok di Chiara Valerio, dove questa tenterà di ubriacarti con voli pindarici costellati di parole incomprensibili, spesso più lunghe di 24 sillabe.
Roba che piace ai radical chic, non perché ne comprendano il contenuto ma perché possono fingere di comprenderlo: nessuno li interrogherà mai sul merito perché il significato è oscuro anche a chi quelle parole le pronuncia.
La comunicazione della destra di oggi invece è diretta, semplice, umana nel senso più viscerale del termine. In netto contrasto con la complessità dei fenomeni. Ed è anche per questo che funziona. Tendenzialmente, per convincere un indeciso della tua opinione, sarebbe almeno utile che tale opinione venisse compresa.
Ma le persone non hanno tempo, voglia o intenzione di spendersi nell’inutile tentativo – inutile perché mai porterà alla verità assoluta – di conoscere il mondo nella sua complessità.
Si affidano giustamente a chi questa complessità la seziona in bocconi più digeribili, come ad esempio gli show televisivi di Rete 4 dove per sei mesi di fila si ripetono all’infinito circa gli stessi dibattiti, tra sicurezza e ambiente, frullando la complessità dei problemi e delle soluzioni in una polpa che sia facilmente travasabile nei piccoli contenitori tra una pubblicità e l’altra.
È chiaro che le sfumature della realtà si perdano nella trasmissione in-formante, in favore di strumentalizzazioni in qualche modo politiche. Da questo non c’è scampo. Il diritto all’informazione nella costituzione esiste solo in funzione dell’articolo 21, il quale in realtà difende solo la libertà di manifestazione del pensiero.
Insomma, già chi l’ha scritta era consapevole dell’intrinseco paradosso del libero pensiero e della propaganda in una democrazia di massa, per la quale è inevitabile dipendere dal marketing, dalla comunicazione e dal capitale che li supporta.
L’impoverimento del dibattito e dell’interesse critico alla politica tra le persone comuni, in favore di un pensiero di massa guidato dai media d’informazione – a loro volta dipendenti dagli interessi del capitale - era già prevedibile (e forse desiderato come vorrebbe COMPLOTTI! di Leonardo Bianchi) dagli albori della società di massa.
Ed è proprio su questo terreno povero che si gioca oggi la battaglia dell’informazione. Il quarto potere non si è indebolito, l’informazione resta un’arma potente. Ma bisogna giocare tenendo in considerazione le regole del gioco e le regole del contesto.
Nel frattempo, qualcuno continua a offrire soltanto brioches. Morbide e fragranti, sono apprezzate da chi può permettersele, forse più per status che per reale amore dell’arte pasticcera.
Ma oggi la gente muore di fame, ovvero, fuor di metafora, se ne sbatte il cazzo di capire qualcosa del mondo. E non gliene si deve fare una colpa. Semplicemente basterebbe mettere da parte un po’ di snobismo e iniziare a sfornare del buon pane caldo.