Luigi Dedoni è un ristoratore di Cagliari che, senza essere eletto, sta portando una concreta soluzione all’immigrazione. Non un blocco navale, non un’isola artificiale e nemmeno soldi per nuovi CPR. Qualche anno fa l’imprenditore cagliaritano ha stabilito rapporti commerciali con il governo del Kirghizistan per esportare l’expertise sarda nella produzione di formaggio ovino tra le fiorenti comunità pastorali del paese. Una scintilla che oggi ha innescato la manovra di Coldiretti Sardegna che porterà circa cento esperti pastori kirghisi sulla nostra isola per tenere in vita il settore in distretti abbandonati dagli indigeni (Sassari, Barbagie e Sarrabus). Le relative famiglie li seguiranno: per le mogli sono previste opportunità nell’assistenza familiare e per i figli attività scolastiche, facilitando un percorso di formazione e integrazione nel tessuto socio-economico della Sardegna. Viene chiamato “progetto-pilota” sottintendendo che, se dovesse funzionare, verrebbe riproposto su scala più ampia.
So bene che non sono questi 300 kirghisi “sistemati” a risolvere un problema severo come quello che stiamo riscontrando, e che il buon Luigi Dedoni di fatto non risolve il problema immigrazione. La sua storia però ci spiega che potrebbe essere intelligente prevedere, sulla base delle necessità del nostro mercato del lavoro, alcuni accordi con paesi di partenza per creare delle vie non clandestine per l’immigrazione e soprattutto delle agevolazioni che permettano alle imprese italiane di investire e creare lavoro direttamente in Africa. In questo modo i flussi, oltre a ridimensionarsi, sarebbero già indirizzati verso i settori che oggi lamentano scarsità di manodopera, come quello agroalimentare che solo di export in Italia vale 61 miliardi. Se c’è tutto questo lavoro, come insiste una certa narrazione politica, non sarà impossibile accordarsi con i paesi di provenienza per integrare regolarmente immigrati in Italia: tanto, a quanto pare, i giovani italiani ad allevare le caprette non ci si mettono.