Ciao Willie,
come ti trova questa lettera? Sapere come te la passi è sostanzialmente il motivo per cui oggi ti scrivo. Ieri notte, appena prima di addormentarmi, ti ho pensato. Non so come sia successo, non ti ascolto più da qualche anno ormai. Nonostante ciò, il timbro della tua voce così familiarmente torinese mi è semplice da richiamare. Sarà che ho consumato molti dei tuoi dischi o sarà che ho un bellissimo ricordo di ogni tuo live. Scommetto che anche tu hai ben presente quella prima data in cui hai portato Educazione Sabauda al CAP10100: posso contare sulle dita di due mani i concerti in cui mi sono divertito altrettanto.
Se è vero che nessun live mi ha mai deluso, purtroppo non posso dire lo stesso delle tue ultime uscite. Penso che tu abbia perso qualcosa per strada. La riottosità sabauda che sentivo nei primi due album è pian piano scemata: ho ascoltato molto la Sindrome di Töret e mi sono anche divertito, ma già sentivo che qualcosa era leggermente off. Sicuramente complice il fatto che fosse uscito ad un solo anno di distanza dal precedente, mi suona come la versione aggiornata di Educazione. Se ci pensi, i titoli stessi richiamano un po’ lo stesso concept. È vero che senza cinismo non saresti quello che sei, ma già alcuni brani della Sindrome stavano calcando pleonasticamente i toni di insofferenza verso le solite (fastidiose, per carità!) dinamiche sociali. Il 2017 è stato un bel periodo per il cantautorato italiano e ti si riconosce che hai contribuito molto a questa piccola golden age. La Sindrome è stata un po’ la meritata mietitura di anni di lavoro matto e disperatissimo: le strumentali stesse avevano raggiunto la perfetta maturità di quel sound costruito negli anni, con un buon equilibrio tra hit spaccaradio e brani più sofisticati.
Esce Iodegradabile e se già titolo e copertina mi avevano pesantemente deluso, quello che ho ascoltato mi è piaciuto ancora meno. Se il funky si era evoluto in qualcosa di ancora più avanzato, la tua penna era invece morta, completamente piatta. Non pensi anche tu di non aver aggiunto nulla al discorso con quell'album? Hai accumulato nei testi le solite immagini di degrado pop che fino a qualche anno prima potevo ancora sorbirmi, ma che nel 2019 puzzavano come l’umido di una settimana. Ammetto di non avere idea di come sia andato a livello di numeri quel periodo, potrai dirmelo tu, se ti fa piacere. Non mi fraintendere, Willie, non voglio hatare: è una conversazione sostanzialmente privata, questa. Considerala più curiosità di un vecchio amico con cui hai perso i contatti. Come te li sei vissuti quegli anni? È stata solo una mia impressione o avevi effettivamente perso la spinta?
Ho dato un primo ascolto al nuovo album, del quale non sapevo nulla fino a stamattina dal momento che ho smesso di seguirti sui social. Io stesso sto cercando di smettere di seguire i social tradizionali. Non so se lo consumerò, a essere onesto non credo. Immagino tu mi possa capire, con quanta musica interessante esce ogni giorno! Non avrei tempo di ascoltare tutto nemmeno se vivessi 10 vite facendo solo quello. Non riesco nemmeno a evitare di sprecare il mio tempo, consapevole di essere finitissimo, e vengo rimbalzato qua e la per la vita dalle mie debolezze. Se ti parlo di queste cose, Willie, è perché so che mi puoi capire.
Spero che tu non accolga male questa lettera: come ho già detto, non è stata scritta con l’intenzione di sminuire la tua arte. Ti saluto con affetto, amico mio, e spero di rivederti presto, magari in occasione del tour.
Bella Guglielmo,
AF
P.S. Non so se lo sai, ma ho lasciato Torino. Sentivo di aver bisogno di qualcosa di meno confortevole per trovare la motivazione che mi manca ormai da anni. Non so se Milano sia abbastanza, perché già ora mi trovo fin troppo a mio agio in quella città. Più che resiliente, mi sono accorto di essere liquido. Saranno, forse, le temperature che si alzano?
Cari lettori, scrivo queste poche righe per chiedervi perdono. Sento di avervi trascurato con l’appuntamento di oggi. Come evidentemente appare, non siete i destinatari di questa lettera. La maggior parte di voi nemmeno conosce il destinatario. È del tutto comprensibile che siate delusi e annoiati dall’esperimento autoreferenziale che è questa newsletter (newsletter?). Ogni volta prometto qualcosa di più inclusivo e ogni volta diventa più esclusivo. Da pochissimo tempo ho realizzato che la parola “esclusivo” contiene in sé un significato molto più triste della connotazione che nella mia testa ha sempre avuto. È abbastanza incredibile come sia sempre stato lì, nella parola stessa, e ci sia voluto Marracash per farmelo notare. Se, però, da una parte vorrei coinvolgere ogni lettore nel discorso, dall’altra tengo molto alla dimensione intima di questo spazio. Come si risolve questo conflitto? Voglio lavorare sulla mia sensibilità e liberarmi da questa asfissiante nebbia cognitiva. Devo semplicemente diventare un osservatore più attento, un ascoltatore più generoso e, di conseguenza, uno scrittore migliore.