Offline, finché abbiamo il fegato
Heineken prova a fotterci con “The offline experience”, ma noi resistiamo. E beviamo anche col telefono in mano
La maggior parte del mio pubblico è troppo vecchia per essere target della nuova campagna Heineken “The Offline Experience”. La sintetizzerò qua io, prima di fare un po’ di debunking, se così lo vogliamo chiamare.
“The Offline Experience” è un progetto che vuole “disconnettere” le persone che assistono ai concerti e ai festival, offrendo la possibilità di lasciare il proprio smartphone in appositi armadietti. Avere il telefono ai live, tra video, foto e notifiche di altra natura, distrae dall’esperienza. Un punto di vista condivisibile, quasi incontrovertibile.
Cosmo, al secolo Marco Jacopo Bianchi, per primo ha fatto una campagna simile durante il suo ultimo tour: in questo caso si proponeva di coprire le fotocamere degli smartphone della platea con degli adesivi. Un’idea che, come ho già detto, mi piace.
Peccato che, quando ci sono di mezzo le multinazionali, anche le cose più pure iniziano a puzzare di pesce al sole. Prima ho parlato di debunking, ora ho cambiato idea: non mi spingerò così in là. Mi limiterò a innestare un piccolo dubbio. Secondo voi, qual è il vero motivo per cui la Heineken ha interesse nel toglierci dalle mani la nostra più familiare dose di dopamina?
È chimica, amici. Una dipendenza, ormai, ce l’abbiamo tutti e ora stanno provando a contendersela. Non credete nella buona fede delle corporation, soprattutto quando la travestono da sostenibilità, da benessere del cliente o, ancora peggio, dei lavoratori. E non credetegli neanche più quando vi dicono che un concerto te lo godi meglio senza il telefono. Ti stanno solo chiedendo di scegliere l’alcool al posto dei social.