Questo periodo dell’anno è veramente estenuante. Vorrei trovare la forza di elencare i mille motivi per cui il 17 di luglio ha la forma del mio peggior nemico, ma la pesantezza di quest’afa mi offusca la mente. Anche oggi mi sveglio (cosa sempre meno scontata) e, andando verso il bagno, noto una lucina arancione che lampeggia. Ieri sera ho fatto partire una lavatrice e stamattina l’oblò non si apre più. A quel punto, come il “Gen-Z Use and Maintenance Manual” mi impone, cerco una soluzione nell’internet. Dopo un video e qualche forum sulle problematiche più comuni delle benedette lavatrici, decido che il portello in basso potrebbe nascondere una soluzione. Lo apro: c’è un tappo ad avvitamento. Lo svito:
Prima di ammettere cosa è successo una volta svitato quel tappo, vorrei capiste che, oltre a non essere particolarmente ferrato sull’idraulica, mi ero appena svegliato da un bagno di sudore notturno ed ero piuttosto infastidito dal guasto della beneamata suddetta. Detto questo, concordo sul fatto che solo un idiota non avrebbe pensato di prendere una bacinella (o almeno uno straccio) prima di aprire il punto più basso di una lavatrice rotta.
Lo svito: un getto di acqua e sudiciume si riversa sul pavimento e in pochissimi secondi l’antibagno è una pozzanghera maleodorante. Taglio sui particolari osceni di questa vicenda e voilà… ho aggiustato la lavatrice (l’ho aggiustata???), mi siedo alla scrivania e accendo il PC. Apro il NY Times per vedere che si dice, leggo un articolo sulla “Girl Dinner” e poi mi cade l’occhio su un pezzo che parla della crisi del sistema sanitario in UK. Lo stato comatoso in cui mi trovavo dopo le fatiche mattutine ha sicuramente giocato un ruolo importante nella scelta della lettura. In breve, scopro che gli inglesi stanno affrontando una grossissima crisi sanitaria, conseguenza dei 10 anni di austerità, esacerbata dalla pandemia. I giovani medici sono pagati meno di chi lavora alla caffetteria dello stesso ospedale, le infermiere, altrettanto sottopagate, affrontano pericolosamente spesso turni da 12 ore, il flusso di pazienti è ingestibile per le ambulanze e per i dipartimenti di pronto soccorso.
Da una parte, ho un po’ goduto del mal comune. La stessa Gran Bretagna sta patendo una fuga di cervelli simile alla nostra, almeno in sanità. Esattamente come noi troviamo liste d’attesa infinite per esami e chirurgie, oltre a gravi problemi di manutenzione delle strutture. Un duro colpo alla sanità pubblica che rende la privatizzazione un manicaretto sempre più goloso. Non entrerò nel merito della questione: non saprei nulla di come potrebbe cambiare la situazione introducendo un sistema all’americana o con il famoso sistema ad assicurazione tedesco. Da questa lettura sono però sorti due punti su cui vorrei riflettere e intervenire: in primo luogo, (1) alziamo gli stipendi pubblici, specialmente se si tratta di personale iperspecializzato come quello sanitario (ricerca compresa). Non so se ci siano i soldi, non so nulla: facciamoci debiti, carte false o una rapina, tutto affinché il lavoro pubblico sia più appetibile e pure i privati siano costretti ad alzare gli stipendi per accaparrarsi i migliori professionisti. Aumentato quello degli insegnanti (e ben venga), ora tocca agli ospedali: farei in fretta perché poi si sparge la voce che il governo preferisca il favore di chi forma i futuri elettori piuttosto che quello di chi gli elettori li accompagna all’uscita.
Il secondo punto (2) è un po’ più tecnico perché riguarda più da vicino i miei studi. In questo approfondimento sulla Gran Bretagna ho scoperto che una delle soluzioni alla gestione del flusso è la cosiddetta “Same day emergency care”. Il sito ufficiale del National Health System lo descrive come la cura immediata del paziente che altrimenti sarebbe stato ospedalizzato. Anche in Italia stiamo patendo un problema simile nella gestione del flusso dei pazienti, fenomeno diventato palese durante il periodo COVID. Allo stesso modo, anche l’Italia grazie ai fondi del PNRR sta andando a sanare questo problema con alcuni nuovi strumenti e con il potenziamento di altri. Tra questi ci sono le Case della Comunità, la gestione dei pazienti attraverso Fascicolo Sanitario Elettronico e altri strumenti di telemedicina. L’idea di fondo è la stessa: non far arrivare i pazienti che non han bisogno di un ospedale in ospedale. A mio avviso, perseguire questa direzione è un buonissimo modo di risolvere il problema alla radice. Qual è il rischio che sta passando questa riforma, in teoria già messa in atto con questo decreto per lo sviluppo dell’assistenza territoriale? Questa riforma sacrosanta vede, come molte sue colleghe, un gap enorme non colmato tra come teoricamente cambiano le cose a come praticamente non cambiano. Cambiare i comportamenti delle persone è difficile, ci vuole tempo e un giusto approccio. Ma se non si lavora a una comunicazione con questa finalità, una comunicazione informativa e non solo propagandistica, che faccia capire alle persone perché è meglio scegliere di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro, si perde il fattore che determina un cambiamento vero nella società. Ovvero il cambiamento degli individui da cui la società è composta. E questo dovrebbe essere compito di qualcuno: se non della politica stessa, almeno di chi fa informazione. È malato che dietro a ogni articolo di giornale si riesca sempre a intravedere uno scopo propagandistico e raramente uno a supporto e promozione dei cambiamenti che la politica vuole produrre.
Avrei potuto approfondire il tema, ma non voglio nemmeno appesantirvi oltre. Quello che volevo dire l’ho detto. Ho rimesso i vestiti sporchi in lavatrice e questa volta sono usciti puliti. Una buona serata, e se non siete in mezzo all’asfalto di Milano, respirate un po’ di ossigeno anche per me.