Primo post del 2023 e io sono leggermente emozionato perché non avrei giocato un penny bucato sul fatto che questa cosa avrebbe addirittura visto un nuovo anno. Spero che abbiate passato delle buone vacanze, così almeno posso rovinarvele io. Oggi mi sono cimentato nella scrittura di un dialogo, cosa che non avevo mai fatto prima e di cui mi sono già pentito. Ci sono tre personaggi ma non voglio dirvi di più sul contenuto. Ammetto che è stato un esercizio molto complicato, ma spero che il risultato possa essere comunque piacevole. Se anche non lo fosse, vi tranquillizzerà sapere che è piuttosto corto. Le comunicazioni per oggi non sono terminate, perché mi piacerebbe anticiparvi che stavo pensando di proporre un appuntamento più frequente (ma meno impegnativo) per condividere con voi alcuni artisti, magari partendo dalla musica. Devo ancora capire nel dettaglio cosa può significare, ma se per caso aveste idee, suggerimenti o quant’altro, vi chiedo di scrivermi su qualsiasi canale preferiate, a eccezione di Netlog che penso sia stato chiuso.
Buona lettura e taaanti baci :33
F: “Dove sta il limite entro cui consideri qualcosa una droga?”
J: “Ti odio”
F: “Che ho fatto?”
J: “Non possiamo fumare e basta?”
F: “Ma sì, è giusto per dare aria alla bocca, non ti sto mica interrogando”
J: “Sostanze come la cocaina e l’eroina penso che siano delle droghe, le anfetamine forse… ma in realtà non so bene cosa siano”
F: “Beh si penso anche io che quelle siano delle droghe”
J: “Poi forse gli allucinogeni, il crack…”
F: “Secondo te cos’hanno in comune tutte queste cose?”
J: “Sicuramente alterano lo stato psicofisico di chi le assume”
F: “Sicuramente…”
J: “Tu invece che pensi?”
F: “Non so, è complesso. Se questo bastasse per definire una droga, la marijuana non lo sarebbe?”
J: “Si lo sarebbe certamente.”
F: “E le sigarette non alterano il nostro stato psicofisico?”
J: “Si anche il tabacco potrebbe essere considerato in effetti…”
F: “Eppure un fumatore di sigarette è un drogato?”
J: “Effettivamente non credo si debba definire proprio ‘drogato’”
G: “C’è la distinzione tra leggere e pesanti, anche se questo non è che chiarisca proprio tutto”
F: “No infatti… Qual è il punto tra la leggera e la pesante? L’alcool è più leggero di, chessò, un allucinogeno qualsiasi? Probabile, ma perché? Non è intuitivo”
G: “Non lo è, no. Una cosa certa è che siamo cresciuti in mezzo all’uva e ci hanno insegnato a gestire l’alcool, abbiamo una cultura a riguardo”
J: “Pensa se a Natale facessero su una striscetta per il cuginetto di 14 anni”
F: “Lo zio che insiste, giusto una pippatina, dai…”
G: “Sarebbe divertente, ma suona veramente troppo male”
F: “La vera questione è: suona male solo perché non vediamo nessuno pippare alla cena di Natale?”
J: “La verità è che far bere un ragazzino suona altrettanto male”
F: “Non sono d’accordo. O meglio, sono d’accordo sul fatto che un ragazzino non dovrebbe essere spinto verso l’alcool, ma quando poi diventa maggiorenne rimane tutto ok? Secondo me è ipocrita”
G: “In fase di crescita il cervello è più plastico ed è solo per questo che si dovrebbe evitare di maltrattarlo da piccoli. Però sono d’accordo che resta ipocrita, da grandi il danno c’è eccome ma nessuno ne sembra così allarmato”
F: “Ma alla fine perché abbiamo così paura delle droghe?”
J: “Perché ci uccidono più in fretta e ci peggiorano la qualità della vita”
G: “Entrambe le cose sono opinabili. La marijuana rallenta addirittura l’invecchiamento delle cellule, tanto che potresti salvarti da una metastasi inconsapevolmente. E per quanto riguarda la qualità della vita penso di preferire una sigaretta oggi che due noiosissimi anni in più domani”
F: “Che poi se vivi a Milano stai praticamente fumando 20 sigarette al giorno”
J: “Dici che l’equazione è veramente questa?”
F: “Non ne ho idea, però non ci fa bene l’aria che respiriamo, poco ma sicuro!”
G: “Chissà cosa succederebbe se non esistessero più limitazioni sulle droghe”
J: “Dipenderebbe tutto da quanta sensibilizzazione viene fatta in materia”
F: “Ma non è vero, tanto che quasi tutti quelli che fanno uso sanno benissimo a cosa vanno incontro e scelgono comunque di farlo”
G: “Si, infatti… Non siamo mica negli anni ’70. Nessuno vuole più farsi di eroina o roba che ti mette in serio pericolo di vita. Tutti bevono e tutti fumano marijuana perché a quanto pare per i giovani è un bilancio vantaggioso”
F: “Non so per voi, ma bene o male anche per me è così. È triste, ma preferisco darmi questo tipo di risposta”
G: “Hai detto bene, è una questione di risposte. Cosa ci dà risposte oggi? Siamo sull’orlo dell’enorme baratro del cambiamento climatico, è tornata la guerra in Europa e dio è stramorto. Non ci sono più partiti, o almeno non rispecchiano più nessuna ideologia così come le feste che sono diventate solo più giorni dove non si va a lavoro. Le arti sono più confuse che sfumate e i generi non esistono più. Manca una narrazione, un senso di collettività che abbia una qualche direzione”
F: “Niente che si possa trovare a tavolino direi”
J: “Sono sincera, non capisco veramente di cosa stiate parlando”
F: “Cosa non capisci?”
J: “Non capisco come possiate vedere le cose in questo modo, veramente, non me ne capacito”
F: “Forse dovresti esserne contenta”
J: “Mi dà ancora fastidio perché parlate di queste cose in una maniera tale che mi sembra di essere semplicemente troppo idiota per capirlo”
F: “Qual è il motivo per cui tu, ogni giorno, fai tutto ciò che fai?”
J: “Ma non lo so… Non lo so, non è così semplice e forse non te lo voglio nemmeno dire”
G: “Vabbè adesso non mi sembra il caso di metterla su questo piano… Stiamo chiacchierando in serenità, non mi sembrava volesse essere provocatorio”
F: “No, infatti, però se non ti va di parlarne non c’è problema”
J: “Ma no, scusatemi, ho reagito male. Forse semplicemente mi impegno per le persone, quelle che mi stanno intorno e che mi vogliono bene. Forse è per loro che mi va di vivere”
F: “Non è una risposta. Vivere ‘per’ le persone cosa vuol dire? Manca un verbo. Cosa vuoi per le persone, cosa ci fai con le persone?”
J: “Ma non lo so! Per fare delle cose buone per queste persone, no? Forse per far sì che queste persone mi vogliano bene, non lo so…”
F: “Capito, capito… Ci sta”
G: “A volte anche io provo questo nei confronti di alcune persone, ma non sembra mai essere abbastanza. Le persone alla fine non sono molto diverse da ciò che sono io e ho troppa poca stima di quello che sono io, in quanto essere umano, per assegnare abbastanza valore agli altri. Sempre niente sono, criminale o santo che mi reputino”
F: “Questo presupposto nichilista giustifica la nostra tendenza a fallire”
G: “Che poi fallire rispetto a quale successo?”
F: “Infatti, nessuno”
G: “Vorrei semplicemente che dio esistesse”
F: “Alla fine basta fingere e vivere come se qualsiasi cosa potesse essere dio: un figlio, una moglie, l’arte, i soldi, la droga o quello che preferisci. L’importante è non smettere mai di venerare, non uscire mai dall’illusione”
J: “Stare bene per voi non conta nulla?”
G: “Certo”
F: “Anche per me, certo, ma quanto è grande lo sforzo necessario a raggiungere quel benessere? E quanto è reale quel benessere? Quanto è diverso l’appagamento di una vita di supposto successo da quello di una dose di morfina?”
J: “Dovremmo solo mettere da parte questi discorsi e continuare così. Se siamo ancora qui è perché, in ogni caso, stiamo bene lo stesso”
Sì, ma scommettere bisogna: non è una cosa che dipenda dal vostro volere, ci siete impegnato. Che cosa sceglierete, dunque? Poiché scegliere bisogna, esaminiamo quel che v'interessa meno. Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due cose da impegnare nel giuoco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose: l'errore e l'infelicità. La vostra ragione non patisce maggior offesa da una scelta piuttosto che dall'altra, dacché bisogna necessariamente scegliere. Ecco un punto liquidato. Ma la vostra beatitudine? Pesiamo il guadagno e la perdita, nel caso che scommettiate in favore dell'esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste.
Blaise Pascal, I Pensieri