La speranza è la prima a morire quando parlo di futuro e lavoro con i miei coetanei. Esperienza personale rispetto al mondo del lavoro ne ho poca, ma ascoltando molte avventure della mia generazione noto come effettivamente sia facile incontrare più di una difficoltà quando non si ha alcuna esperienza. Al contrario, percepisco invece molto più ottimismo confrontandomi con la generazione dei miei genitori: secondo i baby boomer, il titolo di studio è sinonimo di buon posto di lavoro.
Nel 1991 in Italia c’erano il 3,6% di laureati (censimento ISTAT): inizio a capire che forse parlano alla luce di una diversa realtà. Oggi in Italia i laureati tra i 25 e i 64 anni sono al 23,1% tra le donne e al 16,8% tra gli uomini (ISTAT): seppur ci siano diverse considerazioni da fare rispetto al mio report (ah, i dati! Così autorevoli eppure così manipolabili), a occhio e croce la situazione è cambiata. Ovvio, non è cambiata unicamente sotto questo punto di vista, ma che ci siano più lauree sul mercato è un fatto.
Per concludere vorrei dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Da una parte, mi piace pensare che noi giovani abbiamo la possibilità di prendere in mano la nostra carriera se siamo attenti e ben disposti verso le occasioni che si presentano in un mondo, quello del lavoro, dove un buon contatto conta molto più di un 110. Dall’altra, vorrei che le generazioni precedenti capiscano che i camerieri servono, esattamente come i responsabili delle risorse umane. Anzi, per un intero hotel, di solito, c’è un solo responsabile delle risorse umane.